Il disastro delle torri gemelle visto con gli occhi di un bambiNO

Le stragi americane: un momento di riflessione per noi e i nostri figli
Quando mi è stato proposto di scrivere un articolo riguardante il disastro delle torri gemelle in
chiave di lettura per bambini, mi sono sentita lusingata ma, confesso, che di me si è impadronita anche
una certa ansia, dettata dal timore di cadere lupus in fabula nel “già detto e già sentito”.
Ho pensato ai miei figli e nella loro immagine, ho visto riflesso lo stereotipo del viso di tutti i
bambini, dall’aria angelica, anime candide, semplici, che, con la loro ingenuità e spensieratezza, ci fanno,
a volte, invidiare quel mondo perduto che un tempo è appartenuto anche a noi.
Ma è poi così veramente idilliaco il mondo di un bambino?
E’ realmente privo di violenza, di sofferenze, di soprusi, ingiustizie, paure e timori?
Spesso siamo soliti dipingerlo in ben altro modo, con colori a pastello, non a tinte forti ma
sovente, purtroppo, nel paradisiaco mondo del bambino vige la legge del più forte. Basterebbe ascoltare
i racconti delle maestre e i resoconti che i bimbi riportano ai genitori all’uscita di scuola, per
collezionare scene di cattiveria gratuita, dalla presa in giro spietata sui difetti e i punti deboli agli atti di
pura prepotenza .
Anche nelle favole ci troviamo alle prese con situazioni difficili, con draghi da sconfiggere e
streghe cattive che ci vogliono far mangiare la mela avvelenata, da loschi individui, come il gatto e la
volpe che con l’inganno ti rubano i soldi e ti distolgono dai buoni insegnamenti, a Dumbo elefantino
bistrattato e ridicolizzato per le sue spropositate orecchie.
Eppure le favole ricoprono da sempre un fascino particolare, perché il bambino rivestendo i
panni dell’eroe troverà a poco a poco le sue strategie per i problemi e le difficoltà che la vita gli
comporterà e per trovarle si confronterà con le sue ansie e i suoi dubbi, ma in cuor suo saprà anche
che, come l’eroe, non sarà mai solo di fronte ad un problema e che potrà contare sulle persone a lui più
care,
Ma come spiegare a questi bambini, le atrocità che hanno turbato e segnato in modo profondo i nostri
animi? Sguardi che, sovente, si posano su sequenze di violenza, troppo spesso gratuita.
Occhi avezzi a spettacoli cinematografici che forse hanno solo il merito di rappresentare sempre in
modo più veritiero la realtà che ci circonda.
Siamo rimasti tutti annichiliti, con il fiato sospeso, increduli che quello che la televisione ci trasmetteva
non appartenesse al mondo della celluloide. Abbiamo, nel nostro intimo, partecipato al loro dolore, alla
straziante agonia, ci siamo immedesimati e abbiamo pur vagamente potuto immaginare il terrore e la
disperazione di quegli attimi.
Come possiamo raccontare delle atrocità così terrificanti a dei bambini, quando siamo noi i primi a
distogliere lo sguardo per il dolore che ci provoca una tale tragedia?
Non ho certo la presunzione di dirvi come vi dovrete comportare con i vostri figli. Penso che la chiave
del problema stia nella vostra e nella loro sensibilità. Vi posso dire però cosa dirò ai miei bimbi, che
nonostante siano piccoli iniziano a capire tante cose e spesso però non riescono a darne un senso.
E proprio perché queste vittime, non siano morte in vano, per quelle gesta eroiche che in mezzo alla
devastazione del fuoco e nei cieli, si sono compiute, cercherò di spiegare come sia difficile vivere in
pace e serenità, quando i sentimenti predominanti siano l’odio e l’intolleranza, la prepotenza e il
predominio.
Con il linguaggio della violenza non esistono, fondamentalmente, né vincitori né vinti ma solo vittime
di una cultura fondata su basi sbagliate.
Cercherò di darne l’esempio, sforzandomi di ascoltare con attenzione le loro richieste, di essere
disponibile e aperta al dialogo, di non risolvere con uno scapaccione o un’urlaccio una situazione che
mi è scomoda.
J. Bergeret parla della violenza come di un fattore naturale presso tutti gli esseri umani, che si tratti di
adulti o di bambini. “(…) essa è una pulsione di autoconservazione. Non si è destinati ad uccidere
l’altro, non è la morte dell’altro che ci interessa, ma la nostra stessa sopravvivenza”.
“Questa stessa violenza”, sempre secondo Bergeret,” diviene aggressività e piacere nel far soffrire
l’altro, solo quando non riusciamo a integrarla dentro di noi”.
Di questa violenza naturale, continua Bergeret, “non bisogna né aver paura né rallegrarsi, non è né
buona né cattiva. L’importante è ciò che si realizza di positivo, di negativo o di inibito….Un’illusione
frequente, dal punto di vista, politico, sociale, culturale, è pensare che la violenza sia cattiva e che
bisogna reprimerla. Ciò che è importante è la prevenzione primaria; misure preventive promosse nei
confronti dei bambini, dei genitori e dei futuri genitori. E’ importante provare a preparare in modo
autentico una migliore negoziazione di queste pulsioni naturali e studiare quanto utilizzarle
positivamente, invece che ricorrere e moltiplicare le modalità repressive quando questa violenza è
oramai diventata aggressività”.
I nostri figli, sono il futuro di domani, non possiamo tenerli sotto una campana di vetro per proteggerli
dalla violenza che spesso la vita ci riserva. Aiutiamoli con intelligenza, camminiamo accanto, pronti a
dar loro una mano nel momento del bisogno. Chissà che loro, con i nostri insegnamenti, non riescano a
fare un mondo futuro migliore.
A me piace sperarlo.
1.Bergeret, la relazione violenta, Ediz.del C.e.r.p Trento 1994